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Dolcino e Margherita

di Giovedì, 19 Giugno 2014

Cimego è stato teatro di uno dei tanti episodi dell'eresia apostolico dolciniana avvenuti in terra trentina. Qui, agli inizi del Trecento, Dolcino, accompagnato dalla fedele Margherita, predicò la propria dottrina raccogliendo intorno a sè numerosi seguaci, tra i quali il suo braccio destro "maestro fabbro Alberto da Cimego" e sua moglie Bianca. Per ricordare questi particolari avvenimenti è stato allestito lungo il sentiero etnografico un caratteristico "museo": la Casa Museo di Dolcino e Margherita.

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Dolcino

Le fonti storiche che parlano di Dolcino e della sua dottrina sono quanto mai imprecise e discordi e per di più tutte "di parte" avversa. Non si conosce con precisione la sua data di nascita, anche se si presume sia da collocare verso la metà del secolo XIII (forse il 1260). Il luogo d'origine è anch'esso incerto: c'è chi lo dice di Trontano, piccolo paesino della val d'Ossola nella diocesi di Novara, chi lo indica come originario di Prato Sesia nella valle omonima, chi di Romagnano Sesia e chi ancora di Novara. Dopo un periodo trascorso a Parma, dove secondo alcuni avrebbe conosciuto la dottrina eretica di Gherardo Segalelli, fondatore della setta degli "Apostolici" e morto sul rogo il 18 luglio del 1300, approda in terra trentina intorno al 1301 e vi soggiorna fino al 1303. La sua predicazione si alternò tra Riva, Arco ed il territorio della Pieve di Condino. Ricercato dal tribunale dell'Inquisizione ecclesiastica e dal Vescovo di Trento che si opponevano alla diffusione della "eresia dolciniana", nel 1303 avevano fatto giustiziare sul rogo presso Riva un uomo e due donne considerati suoi seguaci si ritira in Piemonte, sua terra d'origine. Qui, contrariamente alle attese, non fu per niente al sicuro: il vescovo di Vercelli bandì contro di lui e dei suoi fedeli, una vera e propria crociata. Costretto a rifugiarsi sul monte Zebello, ribattezzato "Rubello" perché covo dei "ribelli" alla Chiesa, dopo una vera e propria strage in cui trovò la morte la quasi totalità degli Apostolici al suo seguito, il 13 marzo 1307 Dolcino sarebbe stato catturato insieme con la sua inseparabile compagna Margherita. Dopo un processo, riconosciutisi eretici, posti su un carro sarebbero stati condotti e torturati per le vie della città di Vercelli, città in cui, a seconda delle diverse fonti, morì sul rogo il primo giorno del giugno o del luglio dell'anno 1307.

(Sintesi da un articolo di Franco Bianchini, apparso sulla rivista "Passato Presente - Contributi alla storia della Val del Chiese - Quaderno numero 4)

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Margherita

Fu compagna inseparabile di Dolcino, fedele al punto di condividerne, forse, l'amara sorte del rogo. Anche su di lei le notizie sono frammentarie e talvolta contraddittorie. Qualcuno sostiene sia originaria di Trento e che proprio in questa città abbia conosciuto "l'eretico compagno"; altri invece optano per la tesi che vede realizzarsi il "fatidico incontro" in una casa di Arco, luogo in cui Dolcino aveva predicato, affascinando con la sua parola e la sua dottrina un consistente numero di persone. Fatto sta che Margherita fugge di casa all'insaputa dei suoi e con altre quattro persone della sua contrada segue l'innamorato (così testimonia il fratello Ser Boninsegna del fu Odorico da Arco nel dicembre 1332). 
Anche riguardo alla sua morte le fonti ci forniscono notizie diverse e contrastanti. Secondo alcuni cronisti essa sarebbe stata con Dolcino sul carro che li conduceva al supplizio. Altri sostengono invece che essa terminò prima i suoi giorni sul rogo presso il torrente Cervo, fuori Vercelli. Altri ancora affermano che Margherita avrebbe fatto in tempo ad assistere con fermezza incrollabile al supplizio di Dolcino prima di seguirne la sorte sul rogo a Biella.

(sintesi da un articolo di Franco Bianchini, apparso sulla rivista "Passato Presente - Contributi alla storia della Val del Chiese" - Quaderno numero 4)

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Frà Alberto

Il personaggio di maggior spicco dell'eresia apostolica  non solo nella nostra valle, ma ancora in terra trentina, fu senza alcun dubbio il maestro fabbro Alberto da Cimego. Dolcino stesso sembra riconoscerne la statura morale citandolo espressamente fra i seguaci più fedeli nella sua seconda lettera. Del resto molti testi del processo di Riva nell'indicare la setta apostolica la definiscono come quella "di Dolcino e di Alberto da Cimego", confermando così indirettamente che quest'ultimo fu certo una figura di primo piano dell'eresia in territorio trentino.
Nulla di preciso sappiamo invece sulla sua fine: qualcuno sostiene sia stato "crucesignato" come eretico, altri che fosse stato "condannato ed arso", ma non si dice né dove né quando. Non possiamo così sapere di preciso se sia o meno riuscito a sfuggire agli strali dell'inquisizione trentina seguendo così Dolcino in Piemonte, o se lo abbia raggiunto solo in seguito dopo l'appello della sua terza lettera che chiamava a raccolta i seguaci sul monte Balma, trovando così la morte, all'indomani della terribile strage del monte Zebello, su qualche rogo del Piemonte.

(Sintesi da un articolo di Franco Bianchini, apparso sulla rivista "Passato Presente - Contributi alla storia della Val del Chiese - Quaderno numero 4)

 

Gli Apostolici

La setta degli Apostrolici si sviluppò tra il 1260 e 1307 e fu fondata da Gherardo Segalelli di Parma. Costui, sull'esempio di san Francesco, si era spogliato di tutti i suoi beni per predicare la povertà e la penitenza. L'aspetto principale del movimento apostolico, come di altri di quel tempo, fu senz'altro il desiderio di tornare alla vita dei primi cristiani, la rivalutazione della donna cui si riconoscevano quelle funzioni di predicazione dottrinale tradizionalmente riservate agli uomini, nonché la radicale rivalutazione ancora del laicato nei confronti del clero regolare al punto da far quasi scomparire ogni differenza fra laici ed ecclesiastici.
"Chi entrava a far parte della setta non era sottoposto a nessuna cerimonia particolare, ma si spogliava dei propri vestiti in segno di rinuncia ad ogni genere di proprietà e di ingresso nel perfetto stato di povertà di vita evangelica, non pronunciava voti, ma nel suo cuore prometteva di vivere poveramente".

(sintesi da un articolo di Franco Bianchini, apparso sulla rivista "Passato Presente - Contributi alla storia della Val del Chiese - Quaderno numero 4)

 

La dottrina dolciniana

La dottrina predicata da Dolcino si innesta sul pensiero di un precedente movimento ereticale: quello degli apostolici. I principi fondamentali della dottrina di Dolcino sono espressi in tre lettere, non pervenuteci direttamente ma per fonti "avverse" (dall'inquisitore delle setta apostolica Bernardo Gui). Nella prima lettera, che risale all'agosto del 1300, Dolcino precisa che la sua congregazione si fonda sui principi degli Apostolici, ne segue la povertà, e lo stile di vita senza vincoli esteriori di regola alcuna. Essa è stata scelta da Dio ed inviata nel mondo per spiegare adeguatamente le profezie contenute nelle Sacre Scritture del Vecchio e del Nuovo Testamento, e per combattere gli esponenti della gerarchia ecclesiastica che Dolcino definisce "avversari e ministri del diavolo". Costoro sono infatti destinati ad essere dispersi ed uccisi se non si convertiranno alla dottrina degli Apostolici.
Nel dicembre del 1303 ne scrisse una seconda in cui si proclamò capo della congregazione apostolica, ricordando fra l'altro i suoi più fedeli discepoli: in primo luogo la diletta Margherita, quindi i "fratelli" Alberto da Cimego, Valderico da Brescia, Longino da Bergamo e federico da Novara. Ricordò ancora che i fedeli che erano confluiti nella sua congregazione in tutta Italia erano circa quattromila. Nella terza lettera che Dolcino inviò "a tutti i fedeli di Cristo" annunciò di aver finalmente trovato un luogo inespugnabile - la Parete Calva del monte Balma, a poca distanza da Varallo e li invitò a raggiungerlo per unirsi a lui nella lotta.

(sintesi da un articolo di Franco Bianchini, apparso sulla rivista "Passato Presente - Contributi alla storia della Val del Chiese - Quaderno numero 4)